Come aiutare i bambini iperattivi: con la neuroeducazione possono diventare geni

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1997

SUPERDOTATINel linguaggio politicamente corretto, non sono chiamati iperattivi o precoci, ma “bambini ad alto potenziale” o “HP”. A volte in grado di comprendere Einstein a 10 anni, eppure solo il 30% raggiunge il diploma a causa delle difficoltà scolastiche. Essere ad “alto potenziale”, infatti, a volte si accompagna con disturbi del comportamento, dis- o iper-sensibilità emozionale. Sono i bambini affetti dall’ADHD, Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività.

UNO STUDIO CONDOTTO CON RISONANZA MAGNETICA

“I genitori si rivolgono a noi dicendo che è ingestibile, è sempre contro tutto … Noi dimostriamo a loro che non hanno qualcosa in meno, ma qualcosa di più”, dice Fanny Nusbaum, neuropsicologo, Direttrice del Centro Psyrene a Lione, specializzata in “HP”. Quel “qualcosa in più” la scienza non sa ancora ben spiegarlo. E’ questa la finalità della ricerca originale “Surdoués: comment fonctionne le cerveau d’un enfant précoce ?” iniziata un anno fa dal Cermep, centro “dell’immagine vivente” di Lione e finanziata dalla fondazione Apicil. A prendervi parte anche il bioscienziato Dominic Sappey-Marinier. Ottanta bambini tra gli 8 e i 12 anni, sono stati sottoposti a test mentre i ricercatori osservavano alla risonanza magnetica MRI le connessioni funzionali cerebrali.

LA GENIALITA’ CHE HA BISOGNO DI METODO D’APPLICAZIONE

L’ADHD è un vero problema, per l’individuo stesso, per la famiglia e per la scuola, e spesso rappresenta un ostacolo nel conseguimento degli obiettivi personali. E’ un problema che genera sconforto e stress nei genitori e negli insegnanti i quali si trovano impreparati nella gestione del comportamento del bambino.

I primi risultati dello studio francese confermano l’ipotesi fatta da Fanny Nusbaum sulla distinzione di due possibili profili HP: laminare e complesso. I bambini dal profilo “laminare” hanno un comportamento che ben si adatta all’ambiente diversamente dal profilo “di primo della classe”. La MRI ha anche dimostrato che le capacità cognitive sono ben miscelate: attivano più aree rispetto ai bambini del tipo “complesso”, comprese le aree della corteccia coinvolte nei legami associativi – questi sono bambini che hanno un’ottima memoria episodica legata ad eventi ed emozioni – e le zone di “gestione dei conflitti” che permettono di “scegliere la risposta migliore”. Il “laminare”, dunque, risponde ai test nell’80% dei casi, laddove il “complesso”, nel quale le zone di gestione dei conflitti sono meno attive, non solo risponde nel 50% ma anche più lentamente. Allo stesso modo, i “laminari” hanno una migliore connettività tra i due emisferi, confermando la loro maggiore adattabilità. Questa “dis-sincronia cognitiva” apparsa sulla risonanza magnetica MRI del bambino “complesso” conferma il cambiamento osservato nel comportamento di alcuni di questi bambini, dotati in matematica ma vittime di un attacco d’ansia se si chiede loro di lasciare andare la loro coperta di Linus. Questi bambini non hanno nel cervello la chiave d’accesso per elaborare, hanno bisogno che si insegni loro un metodo di studio e d’applicazione. Ed è questo il principio della neuroeducazione ovvero l’utilizzazione delle conoscenze nelle neuroscienze per sviluppare i più appropriati metodi di insegnamento.

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