Marcia indietro sulle riferite proprietà terapeutiche della cannabis: la sua efficacia clinica è limitata o incerta, a seconda dei sintomi. Sono le conclusioni dello studio statunitense dal titolo “Cannabinoid Dose and Label Accuracy in Edible Medical Cannabis Products“ pubblicato il 23 giugno 2015 sul Journal of American Medical Association (JAMA). Si tratta dell’analisi dei risultati di 79 studi clinici condotti complessivamente su 6500 partecipanti da un’equipe della Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimora: le conclusioni suggeriscono che lo psicotropo è collegato ad un miglioramento dei sintomi variabile ma i ricercatori ritengono che nessuno di questi studi clinici può provarlo statisticamente.
EFFICACIA DUBBIA O LIMITATA MA GRAVI EFFETTI COLLATERALI
Gli effetti della cannabis non sono gli stessi a seconda delle condizioni. Gli autori, infatti, hanno scoperto che i cannabinoidi potrebbero essere utili per il trattamento del dolore neuropatico cronico e degli spasmi causati dalla sclerosi multipla. Ma la diminuzione dell’efficacia si mostra quando si tratta di vedere un miglioramento nei pazienti oncologici che hanno la nausea e il vomito conseguenti alla chemioterapia come pure in persone con insonnia o sindrome di Tourette. Peggio ancora, per l’ansia e per la depressione: nessun miglioramento è stato osservato.
La ricerca evidenzia anche un aumento del rischio di alcuni effetti collaterali, tra cui gravi vertigini, secchezza delle fauci, nausea, stanchezza, sonnolenza, euforia, vomito, disorientamento, confusione, perdita di equilibrio e allucinazioni.
“Sarebbe prudente attendere prima di consentire l’uso diffuso della cannabis” è la sintesi del giudizio degli autori.
Negli Stati Uniti, 23 Stati e Washington DC, la capitale federale, hanno legalizzato l’uso medico della cannabis e molti altri paesi hanno leggi simili. In Italia la prima regione in cui è autorizzato l’uso terapeutico è la Toscana.
Inoltre, i medici Deepak Cyril D’Souza e Ranganathan Mohini da Yale Medical School (Connecticut) lanciano una bomba: “Se l’obiettivo della legalizzazione da parte degli Stati è solo quello di ordine medico e non un mezzo per depenalizzare la marijuana, perché questo psicotropo non è sottoposto allo stesso rigoroso processo di approvazione dei farmaci?“. E aggiungono: “prima di consentire l’uso diffuso della cannabis, sarebbe prudente attendere prove solide dei suoi vari effetti al fine di sviluppare un processo razionale di approvazione”. Un altro studio pubblicato nello stesso giorno su JAMA mostra che solo il 17% dei 75 prodotti venduti e somministrato per via orale ai pazienti nelle tre città statunitensi di Seattle, San Francisco e Los Angeles, indica l’esatto contenuto di THC (tetraidrocannabinolo), la principale sostanza psicoattiva della cannabis.