Vaccino contro l’AIDS: da Icar espresso “ottimismo con cautela”

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AIDSL’infezione da HIV, ovvero la condizione destinata a sfociare nell’AIDS, si cura ma ad oggi non c’è la possibilità concreta di disporre di un vaccino.

IL VACCINO PREVENTIVO? UNA CHIMERA

Quella di individuare un vaccino in grado di prevenire il contagio da HIV è stata una chimera inseguita dai primi ricercatori più negli anni ‘80. E a smentire in larga parte le buone speranze comunicate da ben quattro gruppi di ricerca in Francia, è il professor Adriano Lazzarin, presidente ICAR e primario della Divisione di Malattie Infettive IRCCS San Raffaele. Le sue cocenti affermazioni arrivano nel corso della VII Conferenza italiana su Aids e retrovirus (appunto, Icar), in corso in questi giorni a Riccione. “Il problema principale – dichiara Lazzarin – è che un vaccino facile da costruire si ricava da un anticorpo che inattiva il virus e lo blocca; per l’HIV ciò non può essere realizzabile, poiché gli anticorpi neutralizzanti, laddove esistano, non sono in grado di bloccare l’infezione una volta che è entrata nella cellule. Quindi il problema di non acquisire l’infezione si può risolvere cercando di far produrre anticorpi contro il virus, ma ad oggi nessun anticorpo da solo sembra in grado di neutralizzare l’infezione”. Con la cosiddetta vaccinazione terapeutica e non preventiva che viene aperta una finestra sul rafforzamento delle risposte immunitarie attraverso le cellule che generano anticorpi: l’organismo sottoposto alla vaccinazione riuscirebbe così a potenziare la capacità di produrre anticorpi attraverso lo stimoli di cellule dendritiche. Le cellule dendritiche sono le prime colpite dall’infezione, che poi passano ai linfociti. Il risultato delle dimostrazioni effettuate finora non ha però mostrato il vaccino come un obiettivo facilmente perseguibile. “In merito a quegli studi internazionali che prefigurano risultati rivoluzionari dunque si può essere ottimisti, ma con molta cautela” avverte Lazzarin.

E’ IMPORTANTE PORTARE ALLA LUCE IL SOMMERSO

Un’emergenza altrettanto importante ed irrisolta è quella del “sommerso”, ovvero di coloro che ignorano di essere infetti, è una questione comune a tutti i Paesi, poiché l’infezione da HIV è asintomatica nella maggioranza dei casi. Si tratta di quelle persone che hanno dimenticato di essere a rischio, in quanto stanno bene e non vanno a fare il test, e delle generazioni più giovani, che non si sentono in dovere di fare il test perché non hanno paura della malattia. Negli anni ’80 e ’90, i soggetti maggiormente coinvolti erano tossicodipendenti, omosessuali e persone che avevano rapporti promiscui, anche eterosessuali. Oggi, il comportamento maggiormente a rischio per il sommerso sono i rapporti omosessuali tra giovani maschi; discorso a parte va fatto per gli immigrati, il cui discorso è complesso in quanto rappresentano il sommerso per eccellenza, mentre le diverse caratteristiche etniche e la provenienza geografica generano notevoli differenze per il rischio di infezione.Bisogna stimolare le persone, oltreché con la campagna di informazione/prevenzione, soprattutto all’esecuzione dei test” conclude il professor Lazzarin. “E’ necessario rivolgersi a singoli, in particolare ai giovani”. Spesso i metodi più semplici vengono ignorati: per chi ha raggiunto una certa età, il test dell’HIV può essere effettuato assieme a quello delle malattie più comuni. I più giovani, che sono anche i meno motivati, devono essere sollecitati e avere a disposizione strumenti semplici, come il moderno test salivale, in uso anche per l’epatite C.

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