Mangiare sciapo non riduce il rischio di mortalità per incidenti cardiovascolari o insufficienza cardiaca a dieci anni. Insomma, uno dei caposaldi della cardiologia preventiva, subisce una importante revisione.
QUASI 3MILA PAZIENTI SEGUITI PER 10 ANNI
Sono queste le conclusioni del nuovo studio “Dietary Sodium Content, Mortality, and Risk for Cardiovascular Events in Older Adults” pubblicato su Jama Internal Medicine. La ricerca, condotta da un team della Emory University, ha raccolto prove più approfondite sugli effetti del sale nella dieta, evidenziando soprattutto che non c’è davvero alcun motivo di essere eccessivamente preoccupati per la sua presenza. La maggior parte delle persone, secondo questo studio, probabilmente consuma una quantità di sale relativamente compatibile con la propria salute.
Sono stati considerati i dati di follow-up a 10 anni di 2642 adulti più anziani (fascia di età, 71-80 anni) che hanno preso parte a uno studio prospettico di coorte (inizio dal 1° aprile 1997 fino al 31 luglio 1998). L’apporto di sodio alimentare al basale è stata valutato mediante un questionario di frequenza alimentare (FFQ). Si è esaminata l’assunzione di sodio come una variabile continua e come variabile categorica ai seguenti livelli: inferiore a 1500 mg/die (291 partecipanti [11,0%]), 1500-2300 mg/die (779 partecipanti [29,5%]) e una maggiore di 2300 mg/die (1572 partecipanti [59,5%]).
L’età media (SD) dei partecipanti era di 73,6 anni, il 51,2% era di sesso femminile, il 61,7% era di razza bianca, e il 38,3% erano neri. Dopo 10 anni, 881 partecipanti sono morti, 572 avevano sviluppato malattie cardiovascolari e 398 avevano sviluppato insufficienza cardiaca.
SALE ININFLUENTE SU MALATTIE CARDIACHE
La mortalità a dieci anni non era significativamente più bassa nel gruppo trattato 1500-2300 mg/die (30,7%) rispetto al gruppo che ha ricevuto meno di 1500 mg/die (33,8%) e al gruppo che ha ricevuto più di 2300 mg/die (35,2%). L’indicizzazione dell’assunzione di sale rispetto all’apporto calorico e all’indice di massa corporea non ha influenzato sostanzialmente i risultati. Non sono state osservate interazioni coerenti con il sesso, la razza o lo stato ipertensivo per qualsiasi risultato.
CONCLUSIONI E VALUTAZIONI
Le conclusioni sono che “negli adulti più anziani, l’assunzione di sodio (valutata attraverso questionario sulla frequenza di cibo) non è stata associata con la mortalità a 10 anni, a incidente cardiovascolare o d’insufficienza cardiaca e che consumando più di 2300 mg/die di sale la maggiore mortalità non è stata significativa in modelli aggiustati”.
A contestare i risultati dello studio è Richard Krasuski medico della Cleveland Clinic. “C’è una scarsa correlazione tra questionari FFQ e misurare realmente e oggettivamente le cose”. Sul fronte opposto il dottor Scott Hummel,della University of Michigan evidenzia che “il basso contenuto di sodio nella dieta può aumentare i livelli di aldosterone e di catecolamine e altri cosiddetti neuro-ormoni che possono contribuire al danno cardiovascolare”.