La malattia d’Alzheimer è molto complessa e, considerata la rapidissima diffusione, sempre più imponente, è al centro di importanti ricerche. La scienza, infatti, è alla ricerca di un modo per curarla e gli studiosi sembrano aver individuato nella somministrazione di fasci di luce blu una possibile promettente soluzione. Lo rivela la ricerca condotta dal MIT di Cambridge (USA) pubblicata sulla rivista Nature con il titolo “Memory retrieval by activating engram cells in mouse models of early Alzheimer’s disease”.
LA LUCE BLU CHE RESTITUISCE LA MEMORIA
La diagnosi della malattia di Alzheimer si basa principalmente sull’esame, su test neuropsicologici e sulla dimostrazione dell’atrofia corticale che tocca prima il lobo temporale mediale, compreso l’ippocampo, area importante per la memoria. Solitamente la diagnosi si ha dopo i 65 anni. Le prime forme, più rare (meno del 5% dei pazienti), si possono verificare molto prima. E i primi segni della malattia di Alzheimer sono spesso confusi con gli aspetti normali dell’invecchiamento, della depressione, dello stress o di altre condizioni neurologiche come la demenza vascolare.
Gli esperti del MIT (Massachusetts Institute of Technology, Cambridge, Massachusetts) negli Stati Uniti si sono concentrati sulla malattia di Alzheimer e in particolare sulle conseguenze della degenerazione cellulare. I ricercatori di Cambridge (tra questi anche l’italiano Michele Pignatelli di Spinazzola) hanno scoperto che la stimolazione del cervello utilizzando una luce blu potrebbe riattivare ricordi dimenticati dalla malattia di Alzheimer. Pertanto, contrariamente a quanto si è creduto finora, il morbo non distruggerebbe la memoria, ma la confinerebbe in un’area del cervello che diventa inaccessibile. Stimolando questa parte, la gente poteva tornare a ricordare. Per ora, questa teoria si basa su un gruppo di topi; effettuare test sugli uomini sarà più complesso perché un tale dispositivo per l’uomo non è ancora stato inventato.
Per quanto riguarda il protocollo di questo test, gli scienziati hanno somministrato ai topi scosse elettriche. I roditori dichiarati sani hanno mostrato estremamente paura e quelli che sono stati modificati non hanno mostrato alcuna emozione particolare. Hanno quindi fatto ricorso alla optogenetica, scienza che combina tecniche ottiche e genetiche di rilevazione delle connessioni neuronali; in questo caso è stata impiegata una luce blu. La zona del cervello così stimolata, ha restituito ai topi la capacità di ricordare la paura come reazione alle scosse elettriche. E’ piuttosto incoraggiante il fatto che il cervello degli esseri umani e quello dei roditori tenda a lavorare nello stesso modo.
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QUI PUOI LEGGERE la pubblicazione in inglese su Nature e QUI L’ESTRATTO pubblicato dal MIT.
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