I diffusissimi noduli della tiroide fanno meno paura. Molto frequenti, soprattutto nelle donne e in età avanzata, nel 95% sono di origine benigna, ma chi ne è affetto è difficile si convinca che il rischio di un’evoluzione neoplastica è piuttosto basso.
QUASI MILLE PAZIENTI SEGUITI PER CINQUE ANNI
A ribadirne l’innocuità è lo studio “The Natural History of Benign Thyroid Nodules” pubblicato sulla rivista Jama e condotto da un gruppo di ricercatori italiani che in otto ospedali del Centro Italia ha reclutato 992 pazienti tra il 2006 ed il 2008, ciascuno affetto da noduli tiroidei benigni (in numero da uno a quattro per organo), fino a gennaio 2013, quindi per cinque anni di tempo. I medici hanno osservato che soltanto in pochi casi si erano avute variazioni di volume (174 su 1567 noduli). Rare anche le successive diagnosi di cancro (appena in cinque casi). «Il miglioramento della capacità di scoprire noduli di piccole dimensioni ha aumentato il riscontro di noduli tiroidei asintomatici», hanno affermato i ricercatori italiani guidati da Sebastiano Filetti, ordinario di Medicina interna all’università “La Sapienza” di Roma. Soltanto due dei cinque tumori sviluppati da un nodulo benigno erano stati preceduti da un aumento di volume. Nella maggior parte dei casi la crescita non era stata accompagnata da un’evoluzione neoplastica della massa. Infine la maggior parte dei pazienti asintomatici non aveva visto ingrandire i propri noduli benigni a cinque anni dalla diagnosi. Le conclusioni dei ricercatori sono che: “Tra i pazienti asintomatici, con noduli tiroidei rilevabili ecograficamente e citologicamente, che durante i 5 anni di follow-up non hanno mostrato alcun rilevante aumento di dimensioni, il cancro della tiroide era raro. Questi risultati supportano la considerazione della revisione delle attuali raccomandazioni delle linee guida per il follow-up dei noduli tiroidei asintomatici”.
LA STRATEGIA DELLA SORVEGLIANZA ATTIVA
Le conclusioni della ricerca, insomma, smontano una tesi finora piuttosto condivisa: ovvero la crescita del nodulo come fattore predittivo della sua malignità. Considerato anche il basso riscontro di falsi negativi, il consiglio è quello di seguire il percorso della sorveglianza attiva. Prima scelta, quando possibile: l’adozione di una strategia conservativa, con un ridotto ricorso all’ago aspirato (in fase diagnostica) e alla radioterapia metabolica, indicata per le neoplasie avanzate o più aggressive. «Se un nodulo risulta benigno all’ecografia e alla citologia, è molto probabile che rimanga tale nel corso del follow-up, pur crescendo», afferma Filetti. «La strategia di sorveglianza deve essere disegnata in maniera individuale, sulla base dell’aspetto ecografico di un nodulo» conclude Anne Coppola, associato di medicina interna all’università della Pennsylvania, in una nota pubblicata sempre su Jama. L’esperienza clinica dimostra che raramente i noduli evolvono in carcinoma: la percentuale oscilla tra 5 e 15 per mille a seconda della familiarità e dell’esposizione alle radiazioni ionizzanti. Al momento le opzioni disponibili nel trattamento dei noduli alla tiroide sono rappresentate dalla terapia con L-tiroxina, da quella radiometabolica e dalla chirurgia. La somministrazione di ormone tiroideo porta a una riduzione della sintesi del Tsh, prodotto dall’ipofisi per stimolare la tiroide. Di conseguenza si riduce il volume dei noduli, sebbene l’effetto svanisca all’interruzione della terapia. Il ricorso agli isotopi radioattivi dello iodio, utilizzato per curare le forme di ipotiroidismo, avviene invece più spesso nei pazienti anziani, cui si sconsiglia l’intervento chirurgico. L’asportazione è infine consigliata soltanto se il nodulo è maligno, se supera i tre centimetri o se comunque provoca un senso di soffocamento e difficoltà nella deglutizione.