Meno chemioterapia nel cancro al seno se somministrato anche il trastuzumab

Gli studi hanno dimostrato che l’associazione con trastuzumab riduce la tossicità nel trattamento del cancro al seno con la chemioterapia

Per alcune forme iniziali di cancro al seno, la chemioterapia può essere ridotta – e quindi abbassare la tossicità cardiaca – senza perdere efficacia. A confermarlo definitivamente, dopo sperimentazioni cliniche avviate già a partire dal più di quindici anni fa, è uno studio internazionale pubblicato su ‘The Lancet Oncology‘ dal titolo “De-escalation in low-risk HER2-positive in brest cancer” a firma di Elena Geuna, Giuseppe Curigliano e Filippo Montemurro.

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«Questo lavoro rappresenta una pietra miliare nella storia del cancro della mammella», afferma Giuseppe Curigliano, direttore della Divisione Nuovi farmaci per terapie innovative dell’Istituto europeo di oncologia IEO di Milano, professore di Oncologia medica all’Università Statale del capoluogo lombardo. La ricerca riguarda studi condotti sui tumori Her2-positivi, che rappresentano il 15% di tutti i nuovi casi di carcinoma mammario e sono caratterizzati dalla sovraespressione della proteina Her2 che li rende biologicamente aggressivi e resistenti ad alcuni farmaci anticancro. Proprio in virtù della sovraespressione di Her2, però, questi tumori rispondono all’anticorpo monoclonale trastuzumab che viene quindi associato a diversi chemioterapici nei trattamenti standard.

Gli studi hanno dimostrato che l’associazione con trastuzumab riduce la tossicità nel trattamento del cancro al seno con la chemioterapia

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La nuova ricerca conferma che «la terapia adiuvante di chemioterapia con trastuzumab per le pazienti con un tumore del seno Her2-positivo può essere ridotta di intensità, ottenendo, anche nel lungo termine, stessa efficacia e minore tossicità». Il metodo è diventato protocollo nelle “pazienti con tumori inferiori a 3 cm e senza coinvolgimento linfonodale ascellare o linfonodi micrometastatici”.

La nuova pratica nasce dalle osservazioni di due diversi studi. Tra giugno 2007 e agosto 2009, Stephen E Jones e colleghi hanno arruolato 493 pazienti alle quali sono stati somministrati quattro cicli di docetaxel 75 mg/m2 e ciclofosfamide 600 mg/m2 ogni 3 settimane insieme a 1 anno di trastuzumab presso l’US Oncology. Tra ottobre 2007 e settembre 2010, Sara M. Tolaney e colleghi hanno arruolato 406 donne nello studio Adjuvant Paclitaxel and Trastuzumab (APT), a cui sono state somministrate 12 dosi di paclitaxel una volta alla settimana (80 mg/m2) insieme a 1 anno di trastuzumab. Entrambi gli studi hanno arruolato anche pazienti che sono stati esclusi dagli studi cardine a causa della malattia di basso stadio e del basso rischio di recidiva (ossia, con tumori di T1mi, T1a o T1b e N0). “I risultati di entrambi gli studi sono stati coerenti e hanno indicato esiti eccellenti” sono le conclusioni dei ricercatori.

E’ stato dimostrato, sottolinea Curiglòiano, che “una chemioterapia più ‘leggera’ è in effetti sicura ed efficace, e permette alle pazienti di vivere a lungo e con meno effetti collaterali sull’organismo. Questo risultato ha immediatamente cambiato la pratica clinica e il lavoro appena pubblicato aggiunge ora un tassello importante: la de-escalation mantiene il suo beneficio anche nel lungo termine, oltre i 10 anni. Il lavoro scientifico ha anche dimostrato che, nel futuro, potremmo identificare quelle pazienti in cui ‘fare di più’ potrebbe essere utile, ma anche e soprattutto che in altre pazienti ‘fare ancora di menò è possibile, con l’uso di un nuovo marcatore denominato Her2Dx».

Qui trovi le conclusioni in lingua inglese dello studio.

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