La bella notizia è che la demenza senile e l’Alzheimer non sono conseguenza di un destino ineluttabile: una percentuale tra il 40 e il 50% degli ultranovantenni, infatti, conserva intatte le proprie facoltà e non mostra segni di declino cognitivo e questo ha portato a formulare una nuova ipotesi. Ovvero che ci sia una relazione tra la depressione e quel tipo di condizione dell’età avanzata.
E’ emerso nel corso della conferenza “Memory In The Disease Brain” tenutasi a Roma presso la Casina Pio IV, per organizzazione della pontificia Accademia delle Scienze. Secondo stime dell’Organizzazione mondiale della Sanità e dell’Alzheimer’s Disease International, nel 2013 le persone con demenza in tutto il mondo erano 44 milioni (nel 2010 se ne stimavano 35 milioni), con una previsione di raggiungere i 76 milioni nel 2030, e di queste oltre un milione di persone solo in Italia. Di questo milione, oltre 600 mila sono state colpite dalla malattia di Alzheimer.
Nel corso della conferenza romana gli studiosi convenuti hanno approfondito la correlazione, già nota nel mondo scientifico, tra depressione, demenze e memoria. I ricercatori hanno identificato la depressione come fattore di rischio per alcune malattie cronico-degenerative dell’età anziana. I partecipanti hanno illustrato una recente review su 23 studi condotti su oltre 50 mila uomini e donne anziani, che hanno evidenziato una stretta correlazione tra depressione e demenza; in particolare a chi era stata diagnosticata la depressione, si mostrava una possibilità doppia di sviluppare demenza e il 65% in più di avere l’Alzheimer. Così come una ricerca apparsa su Neurology che ha coinvolto, per ben otto anni, 1.764 persone che non presentavano problemi di memoria, ha evidenziato che le persone che sviluppavano un declino cognitivo mostravano anche sintomi di depressione già prima che la demenza fosse diagnosticata; e che tra i segni più evidenti c’era proprio la diminuzione del livello di memoria.
“L’ipotesi è che trattare la depressione – spiega Marco Andrea Riva, del Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari dell’Università di Milano – possa diminuire l’incidenza di demenza e che gli antidepressivi non siano una terapia per l’Alzheimer, ma rappresentino una forma di protezione”.
Nel corso dell’incontro vaticano Laura Fratiglioni, direttore dell’Aging Research Center presso il Karolinska Institutet di Stoccolma, ha presentato i risultati di uno specifico studio, il Kungsholmen Project, che dal 1987 ha preso in carico 1.810 soggetti con più di 75 anni di un quartiere di Stoccolma e controllati ogni tre anni. Il dato più sorprendente che è emerso è che la scarsa educazione è inversamente proporzionale al rischio di sviluppare una qualche forma di demenza.