Un campione di saliva potrebbe presto diagnosticare l’Alzheimer. I ricercatori dell’Università di Alberta (Canada) hanno messo a punto un test specifico della saliva. Consiste nell’analizzare i metaboliti prodotti dalle reazioni chimiche nel cervello e nell’individuare le anomalie specifiche in questa malattia neurodegenerativa.
LE CARATTERISTICHE DEL TEST
I risultati incoraggianti del loro piccolo studio sono stati presentati alla Conferenza internazionale sul morbo di Alzheimer, tenutasi a Washington DC (USA) dal 18 al 23 luglio. Il test della saliva sviluppato da canadesi passa in rassegna circa 6000 metaboliti. Alcuni sono anomali e determinano una reazione chimica in chi è affetto da malattia di Alzheimer o da decadimento cognitivo lieve. L’obiettivo di questo studio era di identificare i biomarcatori e per determinare se sono associabili con un sintomo della malattia.
82 persone hanno partecipato a questo studio: 22 di loro erano affette da morbo di Alzheimer, 25 da declino cognitivo lieve e 35 erano sane. La tecnica è stata riprodotta con una popolazione più piccola (27 persone).
Il test della saliva è in grado di distinguere le persone sane, quelle con declino cognitivo e i malati di Alzheimer. In effetti, alcuni metaboliti hanno livelli più elevati di presenza nei malati con un disturbo cognitivo semplice o affetti da morbo di Alzheimer. La loro presenza si traduce in una scarsa memoria episodica. Un’altra sostanza è molto presente nella saliva di pazienti Alzheimer, che si manifesta in una ridotta capacità d’analisi delle informazioni.
Effettuare un test della saliva ha diversi vantaggi. Non solo questo approccio è pochissimo invasivo, ma è anche conveniente. “Ha il potenziale promettente di prevedere e tracciare la progressione del declino cognitivo”, dice Shraddha Sapkota, che ha presentato lo studio. “E’ anche importante la possibilità di utilizzare la saliva per trovare bersagli terapeutici che regolano la componente metabolica del morbo di Alzheimer, che è ancora poco conosciuta”.
Naturalmente, sono necessari studi con grandi popolazioni per confermare questi risultati. Ma crescono le speranze di poter disporre di una diagnosi precoce della malattia. “Sappiamo che il morbo di Alzheimer inizia con i cambiamenti del cervello che si verificano mentre le persone hanno ancora una normale funzione cognitiva e che poi la progressione della malattia accelera”, dice la dottoressa Maria Carrillo, direttore scientifico dell’Associazione Alzheimer . “Tuttavia, la diagnosi è fatta in una fase tardiva della malattia, quando i sintomi sono di solito abbastanza gravi da causare una visita dal medico”. In passato la diagnosi precoce era stata associata all’obesità o alla magrezza.
I PROGRESSI TERAPEUTICI
Nello stesso congresso internazionale sono stati presentati i risultati di una ricerca su una nuova molecola che sarebbe in grado di curare l’Alzheimer. Si tratta della “solanezumab”, un principio attivo che attaccherebbe le proteine “malate” che si formano nel cervello colpito da Alzheimer, facendole rimanere in vita e ritardando o eliminando, così, l’insorgenza della malattia. È stato dimostrato, infatti, che i pazienti che hanno assunto il farmaco più a lungo hanno avuto i maggiori benefici. Sullo stesso principio si muove l’aducanumab, molecola già in fase avanzata di sperimentazione e molto promettente riguardo ai risultati.